Dott.ssa Elena Cinelli

Psicologa esperta in terapie alternative


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I Disturbi più diffusi

Molti pazienti si presentano nel mio studio convinti di avere proprio quella patologia, alla ricerca della cura per una diagnosi che loro considerano certa.
Questa convinzione spesso li porta ad instaurare un circolo vizioso difficile da spezzare, accompagnato di solito da un aumento dei sintomi e-o dalla creazione di nuovi stati mentali per confermare la propria diagnosi, attuando la cosidetta profezia che si autoavvera.
In altre parole, vi è mai capitato, quando avvertite un certo malessere fisico che non riuscite bene ad identificare, di pensare che potrebbe essere un sintomo di quella malattia di cui avete appena sentito parlare?
La sindrome del malato immaginario! Anche a noi terapeuti spesso accade di lasciarci ingannare da giudizi superficiali che ci portano a percorrere itinerari troppo scontati per arrivare a conclusioni affrettate, lasciandoci guidare esclusivamente verso indizi che confermano il nostro pensiero.
Tutto questo è perfettamente umano. Tendiamo sempre a raggruvpare il mondo in elementi e categorie che ci permettono di semplificare le cose, ma è importante, per quanto possibile, evitare di appiccicare etichette inutili a noi stessi e agli altri.

Indice

I Disturbi del Comportamento Alimentare

Il manuale diagnostico dei disturbi mentali definisce disturbi dell’alimentazione quei disturbi caratterizzati dalla presenza di evidenti alterazioni del comportamento alimentare.
I due principali disturbi della condotta alimentare sono l’Anoressia nervosa e la Bulimia nervosa.

Anoressia nervosa
Condizione grave e potenzialmente fatale caratterizzata da un’immagine corporea disturbata e da gravi limitazioni dietetiche autoimposte, che di solito determina una grave malnutrizione.

Criteri Diagnostici
  • Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l’età e la statura (per es. perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto, oppure incapacità di raggiungere il peso previsto durante il periodo della crescita in altezza, con la conseguenza che il peso rimane al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto).
  • Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.
  • Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
  • Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi. Una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per es. estrogeni.)
Bulimia nervosa
Assunzione episodica incontrollata, compulsiva e rapida di grandi quantità di cibo in un breve periodo di tempo (abbuffate), seguita da vomito autoindotto, uso di lassativi e diuretici, digiuno o vigoroso esercizio al fine di impedire l’aumento di peso (abbuffate e comportamento di eliminazione).

Criteri Diagnostici
  • Ricorrenti abbuffate. Un’abbuffata è caratterizzata da entrambi i seguenti comportamenti:
    1. mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili
    2. sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando).
  • Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.
  • Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi.
  • I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei.
  • L’alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.

I Disturbi del Comportamento Alimentare nelle varie espressioni che li distinguono, rappresentano la patologia più diffusa nella società occidentale dell’ultimo ventennio.
Si è già detto molto sui motivi che giustificano l’enorme diffusione di tali patologie. In estrema sintesi è senz’altro vero che la psicopatologia rappresenta uno specchio (deformato) della società in cui appare.
L’Anoressia, più di ogni altra, presenta in forma caricaturale i valori della nostra società: la bellezza intesa come forma fisica e snellezza; allo stesso modo in cui, ad esempio, l’isteria rispecchiava le censure morali della società di inizio novecento.
Inoltre la donna viene sempre più condizionata verso valori maschili: il Successo e la Forza a discapito dell’Accoglienza e la Sensibilità.
Questo però non vuol dire che la cultura, anche nelle sue forme più estreme, sia la causa di tali patologie, ma solo che essa fornisce la cornice di riferimento, o se vogliamo il pretesto razionale e culturalmente accettabile entro cui situare il disturbo, che però ha sempre cause profonde…e di natura individuale.
Solo in questo senso possiamo considerare i disturbi del comportamento alimentare una malattia sociale.
Sentiamo spesso parlare di ragazze che diventano anoressiche per inseguire modelli di bellezza ammirati sui mass-media.
Non ritengo che siano affermazioni senza senso, anzi… ma è difficile credere che forme di Anoressia grave, e con risvolti tanto drammatici, abbiano semplicemente una causa “sociale”.
È più giusto affermare che la società odierna fornisce l’innesco, ma la bomba viene costruita nei percorsi individuali, all’interno delle dinamiche familiari descritte sapientemente dagli autori “classici” (con particolare riferimento a Bruch e Selvini-Palazzoli).
In realtà la letteratura in questione, e l’esperienza clinica, evidenziano come il “meccanismo anoressico”, una volta innescato, ha una vita propria, che tende a sganciarsi dalle motivazioni che lo hanno generato, e si mostra tenacemente resistente alle terapie “classiche”.
Da qui il ricorso sempre più frequente, ed in certi casi indispensabile, alla Terapia Integrata, su cui torneremo in seguito.
È interessante invece tornare al paragone che spesso viene effettuato tra il fenomeno delle Sante Anoressiche nel medioevo, e l’Anoressia moderna.
Si scrive a tale riguardo che la scelta anoressica delle sante medioevali era proiettata verso valori più profondi ed elevati, quali appunto la santità e l’avvicinamento a Dio, mentre nell’anoressica moderna la scelta è fine a sé stessa, ovvero l’oggetto di culto è il corpo stesso, contemplato nella sua magrezza.
Le cronache del tempo però rivelano una realtà leggermente diversa.
Sembra più giusto affermare che i meccanismi psicopatologici sottostanti il sintomo restano a grandi linee le stesse, ma cambia la cornice culturale entro cui situare il disturbo, ovvero le giustificazioni razionali che danno senso al sintomo.
È noto come un fattore cruciale ell’Anoressia/Bulimia sia, anche se in modalità opposte, il Controllo.
Non casualmente tali patologie si sviluppano nel periodo adolescenziale, in cui i mutamenti corporei sono molto forti, sopratutto sul versante femminile. La fatica di crescere, la difficoltà ad accettare cambiamenti che sembrano minacciosi, la paura di abbandonare le sicurezze infantili, si esprime nel modo più semplice: non crescere, rifiutando il corpo sessuato… e tutto ciò che ne consegue.
La ribellione in tal senso si manifesta attraverso il controllo sull’unico elemento che rientra sotto il proprio dominio: il Corpo, appunto.
La letteratura clinica descrive l’Anoressica come la tipica bambina perfetta, che non ha mai presentato problemi ai propri familiari, ovvero, secondo una interpretazione psico-dinamica, un soggetto abituato ad anteporre l’esigenze esterne alle proprie.
In quest’ottica la scelta anoressica segnala la (prima) ribellione alle richieste esterne, ma in qualche modo anche un tentativo di tenere a freno il corpo, che per sua natura proprio non ne vuol sapere di ubbidire alle richieste, interne ed esterne…
In tal senso nelle forme più gravi, quelle in cui la dismorfofobia è più forte, è facile ipotizzare che l’impossibilità protratta ad ascoltare i propri bisogni abbia portato il soggetto ad ignorare i segnali provenienti dal proprio corpo.
Succede allora che gli improvvisi e profondi cambiamenti fisici, tipici dell’adolescenza, vengano vissuti minacciosamente come provenienti all’esterno, ed impossibili da gestire.
Un’altra delle chiavi interpretative del sintomo anoressico è fornita dall’equazione madre-cibo.
Secondo tale lettura il rifiuto del cibo rimanda al rifiuto della madre.
Ma l’equivalenza madre-cibo non va intesa semplicemente in chiave simbolica. Infatti la capacità di simbolizzazione è una acquisizione relativamente matura delle psiche, ed il soggetto anoressico potrebbe non avere avuto accesso a tale fase.
In tal modo si spiegherebbero le enormi difficoltà che presentano tali pazienti a prendere consapevolezza dei propri vissuti.
In tale ottica quindi il cibo rappresenta la madre ad un livello molto profondo, e del tutto inconsapevole.
Questa linea interpretativa non è ovviamente in contrasto che quanto detto in precedenza.
Il rifiuto della madre-cibo implica l’impossibilità ad identificarsi non solo con la propria Madre, ma anche con un corpo sessuato, che a Lei inevitabilmente rimanda.
In termini più generali sappiamo che la madre, ed il sistema familiare nel complesso, ha un’implicazione determinante nella genesi delle patologie in esame.
Sarebbe molto arduo definire il confine tra una famiglia sana e quella patologizzante, che ha cioè maggiori possibilità di creare squilibri come quelli anoressici/bulimici.
Però un concetto che posso sostenere, senza timore di essere smentita, è che una famiglia “sufficientemente buona” è quella in cui vengono rispettati i rispettivi ruoli.
In tale ottica l’elemento fondante è una coppia genitoriale il cui legame "affettivo, sessuale e di stima reciproca" è forte e stabile.
Situazioni in cui la figura maschile è assente o svalutata, la donna è totalmente identificata nel ruolo di madre a scapito di quella di donna, e la figlia è sovraccaricata di ruoli che non le spettano, come quello di amante, amica, confidente… fino a rappresentare una “ragione di vita” (in particolare da parte della madre), sviluppano il nucleo fondamentale della malattia.
Appare evidentemente allora che l’anoressia rappresenta una manovra disperata per distaccarsi da un legame simbiotico e soffocante con una madre cannibalica, in cui il padre ha perso il ruolo che gli spetta: quello di favorire il il distacco madre-figlia per ristabilire gradualmente il legame con la moglie-compagna.
Il quadro descritto non riguarda ovviamente solo l’Anoressia.
La Bulimia (da alcuni autori considerata semplicemente una variante clinica) presenta le stesse dinamiche psico-patologiche, ma sotto un versante opposto.
Se vogliamo, mentre nell’anoressica la madre-corpo viene rifiutata in modo netto, nella bulimica viene ricercata incessantemente, ma in modo compulsivo.
Non a caso il disturbo anoressico viene spesso avvicinato al quadro Ossessivo, mentre quello bulimico alla Dipendenza.
Ma in entrambi i casi appare evidente che il Cibo ha perso il suo significato reale, quello cioè di semplice nutrimento, per assumere un valore “mitologico”.
Ed è proprio a questo corto circuito mentale che mi riferivo quando parlavo di meccanismo anoressico: nel momento in cui il Cibo è stato investito di significati irreali, l’intera esistenza ruota intorno ad essa, in una specie di sfida “all’ultimo grammo” che ha perso ogni riferimento alla realtà.
Una volta che una persona è rimasta imprigionata in questo meccanismo, la stessa guarigione appare come una minaccia.
Uno degli elementi più paradossali, e drammatici, e proprio affrontare la paura di guarire di queste pazienti, per le quali la malattia rappresenta una nuova identità, patologica (per il mondo esterno), ma ad ogni modo rassicurante (per sè stessi).
E’ molto difficile tradurre in termini reali una paura tanto paradossale.
Probabilmente la guarigione renderebbe inevitabile ciò che invece si vuol evitare a tutti i costi: diventare adulti!
Il passaggio al modo adulto, evidentemente comporta significati (familiari, sessuali, sociali) che, ad un livello profondo, evocano fantasmi terrifici ed inaffrontabili.
In considerazione dei concetti espressi finora appare evidente che le patologie alimentari non si possono certo considerare un disturbo dell’appetito, e a mio modesto avviso qualsiasi terapia centrata esclusivamente sul sintomo non può che, nella migliore delle ipotesi, portare solo a risultati a breve termine.
A mio modesto avviso solo un approccio fondato sull’inconscio e l’analisi delle paure più profonde può portare ad una presa di consapevolezza significativa ed alla acquisizione di modalità relazionali più sane e mature.
Negli ultimi anni è apparso poi sempre più evidente come, in particolare nelle forme più gravi e precoci di Anoressia, la Terapia Integrata rappresenti l’approccio che ha la maggiore possibilità di successo.
Il disturbo del Comportamento Alimentare è un fenomeno incredibilmente complesso, o, per usare un termine molto in voga, multidimensionale.
Non può essere affrontato solo da un punto di vista medico, dietetico o psicologico, ma solo aggredendo la malattia su tutti i fronti, contemporaneamente!

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I Disturbi dell'umore

Il disturbo depressivo maggiore è caratterizzato da uno stato emotivo di grande tristezza e apprensione, da sensi di colpa, isolamento sociale, insonnia o ipersonnia, alterazione del livello di attività (nella direzione di un rallentamento psicomotorio o dell’agitazione), perdita di appetito e conseguente calo ponderale, oppure aumento dello stesso e incremento del peso, perdita del desiderio sessuale, mancanza di energia, stanchezza, concezione di sé negativa, autobiasimo, autoriprovazione, autosvalutazione, sensazione che nulla abbia più valore, perdita di interesse nei confronti delle attività che si svolgevano precedentemente, incapacità di provare piacere per qualunque attività, pensieri di morte o di suicidio.
Le persone depresse non sono in grado di concentrare l’attenzione su qualcosa: questo per loro costituisce uno sforzo estenuante e insopportabile; non riescono a ricordare ciò che viene loro detto o che apprendono attraverso la lettura, così come risulta loro faticoso fare conversazione.
Essi infatti si esprimono generalmente attraverso poche parole, facendo lunghe pause e parlando lentamente, e il tono di voce è basso e monotono. Il comportamento motorio può variare: alcuni siedono in disparte per ore rimanendo in silenzio, mentre altri sono molto agitati e non riescono a stare seduti, preferendo camminare avanti e indietro, stropicciarsi le mani, sospirare o lamentarsi.
Il disturbo colpisce anche la capacità di affrontare i problemi: gli individui che ne sono affetti risultano essere totalmente privi di idee e strategie circa la sua risoluzione, e vivono ogni momento con un sentimento di oppressione.
Possono giungere a trascurare la propria persona al punto di non curarsi dell’igiene e dell’aspetto.
A volte si lamentano in modo ipocondriaco riguardo a dolori senza alcuna apparente causa organica.
Nell’arco dell’esistenza i sintomi depressivi variano: nei bambini essi assumono la forma di disturbi somatici, mentre negli anziani si manifestano attraverso calo dell’attenzione e amnesia.
Nella maggior parte dei casi la depressione tende con il tempo a scomparire, ma può anche cronicizzarsi, nei casi in cui il soggetto non riesca a recuperare il suo stato mentale normale nei periodi che intercorrono tra un episodio depressivo e l’altro.
Il disturbo depressivo maggiore risulta essere tra i disturbi più diffusi, e sembra essere più frequente nelle donne che negli uomini, e nelle classi socioeconomiche più disagiate.
Colpisce maggiormente nella prima età adulta, ma nel corso degli ultimi anni l’età di insorgenza sta progressivamente abbassando.

Disturbo Bipolare
Il disturbo bipolare si caratterizza per lo stato emotivo chiamato ‘mania’, che consiste in intensa ma infondata euforia accompagnata da irritabilità, logorrea, iperattività, scarsa capacità di attenzione, creazione di piani grandiosi e inattuabili.
La mania si può presentare in persone che soffrono di episodi di depressione, raramente è stata riscontrata in soggetti che non ne soffrissero. L’episodio maniacale può durare da alcuni giorni a mesi, si manifesta attraverso il flusso incessante di commenti, espressi a voce molto alta e pieni di battute, giochi di parole, rime ed esclamazioni.
È molto difficile interrompere un simile eloquio, e questo porta ad un ulteriore sintomo, che è quello della fuga di idee, ovvero l’incapacità di discorrere circa un preciso argomento senza saltare da uno all’altro, manifestando coerenza soltanto in piccolissimi frammenti di discorso.
Nei soggetti affetti da mania il bisogno maniacale di attività si manifesta anche attraverso una inopportuna e invadente socievolezza, così come nella tendenza a ad essere indaffarati senza un vero scopo, e nell’incapacità di realizzare che tutte le idee sono destinate a fallire.
I tentativi di tamponare gli impeti di questo genere provocano rabbia e a volte reazioni furiose.
All’interno di questa patologia si verificano anche un aumento del livello dell’attività, in ambito lavorativo, sociale e/o sessuale, una diminuzione del bisogno di dormire, un’ipertrofia dell’autostima, che comporta la convinzione di avere capacità e poteri al di fuori dal comune, coinvolgimento eccessivo in attività piacevoli, le quali però generalmente hanno conseguenze spiacevoli, come ad esempio fare spese folli.
Oltre agli episodi maniacali, nel disturbo bipolare possono trovarsi anche episodi misti, comprendenti sia i sintomi della mania che quelli della depressione.
La maggior parte dei soggetti affetti da tale disturbo esperisce entrambi gli episodi.
Il disturbo insorge generalmente tra i 20 e i 30 anni e presenta la stessa frequenza nei due sessi; esso ha la tendenza a ripresentarsi più volte. Sembra inoltre esserci un ruolo di questo disturbo nel processo creativo, per mezzo dell’euforia, della grande quantità di energia e del succedersi rapido dei pensieri, che permette di cogliere connessioni tra idee che normalmente appaiono slegate.
Si prevede per entrambi i disturbi, unipolare e bipolare, la sottocategoria di disturbo stagionale, nel caso in cui sia evidente una relazione regolare tra la comparsa degli episodi e una particolare stagione dell’anno.
Il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali riporta inoltre altri due disturbi cronici: il disturbo ciclotimico e il disturbo distimico. Nel disturbo ciclotimico il soggetto presenta frequenti periodi di depressione e altri di ipomania.
L’ipomania è più lieve della mania e presenta gli stessi suoi sintomi, solo leggermente meno evidenti.
Questi periodi possono essere misti o alternati a periodi di umore normale che durano fino a due mesi.
Nelle fasi di depressione e ipomania i ciclotimici presentano coppie polarmente opposte di sintomi, passando, ad esempio, dall’inadeguatezza della depressione all’esorbitante autostima dell’ipomania.
Nel disturbo distimico a differenza del disturbo depressivo maggiore, si riscontra la presenza di un umore cronicamente depresso per circa due anni, con una presenza quotidiana che coinvolge la maggior parte della giornata.
All’umore depresso si possono associare uno o più dei seguenti sintomi: insonnia o ipersonnia, un pensiero di bassa stima di sé, una difficoltà nella concentrazione, sentimenti di disperazione, scarso o molto appetito e scarsa energia.
Il disturbo distimico è spesso associato al disturbo di dipendenza da sostanze, al disturbo di personalità bordeline, istrionico, narcisistico, evitante e dipendente.
Nei bambini tale disturbo può essere associato ai disturbi della condotta, ai disturbi d’ansia, ai disturbi dell’apprendimento, al ritardo mentale ed anche al disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività.

Terapie
I disturbi dell’umore rispondono particolarmente bene ai farmaci(antidepressivi triciclici, antimao etc’) che possono essere prescritti dal medico di famiglia, anche se di solito è consigliabile rivolgersi ad uno psichiatra esperto che sia in grado di fornire un supporto terapeutico nella gestione di queste medicine.
Nonostante i farmaci siano molto efficaci nel gestire e diminuire gli stati depressivi, spesso non si riesce ad eliminare i sintomi senza l’aiuto di una psicoterapia.
Per questo motivo la combinazione più efficace sembra essere quella di associare i farmaci ad una cura terapeutica che possa aiutare il paziente ad individuare ed elaborare le cause del suo stato mentale.
Anche se molte ricerche tendono a rintracciare nella depressione alcune componenti biologiche, è chiaro che i disturbi dell’umore sono causati da vari fattori e quelli psicologici hanno certamente un peso rilevante.
Le terapie cognitive sembrano molto efficaci nel curare questi disturbi in tempi brevi, fornendo ai pazienti strategie di coping che li aiutino a gestire i sintomi e a cambiare pensieri e comportamenti che sono disfunzionali. Come ricordo sempre, la domanda del paziente è fondamentale per scegliere la terapia più adatta lui. Ci sono persone che vogliono comprendere fino in fondo le cause dei loro disturbi, affrontando problemi che spesso si portano dietro da molto tempo.
Questi individui magari non si accontentano di imparare a gestire i sintomi modificando i propri comportamenti, per cui risultano maggiormente indicate terapie psicodinamiche che guidino il paziente ad affrontare un processo di crescita ed elaborazione interiore.
La scelta dipende ovviamente anche dall’età della persona.
E’ probabile che una persona anziana preferisca affidarsi a terapie brevi, centrate sulla risoluzione del problema, mentre magari un ragazzo giovane che sperimenta la depressione in adolescenza potrebbe optare per una terapia diversa. Qualunque sia il percorso scelto, è importante agire per curare questi disturbi che rappresentano una grande sofferenza per chi li vive.

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I Disturbi d'Ansia

L’ansia è una condizione patologica caratterizzata da una sensazione di timore associata a segni somatici indicativi di iperattività del SNA. Si differenzia dalla paura, che è una reazione nei confronti di una causa nota.
I disturbi d’ansia sono stati per lungo tempo considerati forme di nevrosi, ovvero un insieme molto vasto di disturbi caratterizzati da ansia non legata a ragioni obiettive e da altri problemi associati.
Questi disturbi vennero concettualizzati grazie al lavoro clinico svolto da Sigmund Freud sui suoi pazienti; di conseguenza, la categoria diagnostica delle nevrosi finì per essere inestricabilmente connessa con la teoria psicanalitica.
Inizialmente vennero inseriti nel gruppo delle nevrosi disturbi molto diversi fra loro, utilizzando come criterio diagnostico il fatto che alla base di tutti vi fosse un problema di ansia rimossa.
Col trascorrere del tempo diversi psicopatologi iniziarono a mettere in discussione l’opportunità di mantenere in vita il concetto di nevrosi, dato che era diventato talmente esteso e onnicomprensivo da svuotarsi di ogni significato quale categoria diagnostica.
A partire dalla terza versione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), e specialmente nella quarta (ed ultima, allo stato presente), le vecchie categorie delle nevrosi vengono redistribuite tra nuove e più precise categorie diagnostiche; fra queste il DSM propone sei categorie principali: fobie, disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico da stress e disturbo acuto da stress.
Accade di frequente che una persona che soffre di un disturbo d’ansia manifesti anche sintomi considerati parte di un altro disturbo d’ansia; in questo caso si parla di comorbilità.
Ciò dipende da due fattori: innanzitutto dal fatto che i sintomi che rientrano in questa categoria di disturbi non sono completamente specifici; per esempio i segni somatici dell’ansia (sudorazione, battito cardiaco accelerato ecc.) sono comuni sia al disturbo di panico, sia a quello d’ansia generalizzato che al disturbo post-traumatico da stress.
In secondo luogo, le teorie correnti circa l’origine dei disturbi d’ansia sono applicabili a più di un disturbo; è stato proposto, per esempio, che l’incapacità di controllare i fattori di stress in cui ci si imbatte sia un aspetto importante nell’origine sia delle fobie che del disturbo d’ansia generalizzato.
Vediamo ora nel dettaglio i singoli disturbi.

Fobia Specifica
La fobia specifica è caratterizzata da un’ansia clinicamente significativa provocata dall’esposizione a un oggetto o a una situazione temuti, che spesso determina condotte di evitamento.
L’oggetto della paura può essere la previsione di un danno collegata a certi aspetti dell’oggetto o situazione.
Fobie specifiche possono anche comprendere la preoccupazione di perdere il controllo, di avere il panico e di svenire, che si potrebbero manifestare all’oggetto temuto.
L’ansia, viene avvertita immediatamente quando avviene il confronto con lo stimolo fobico.
Il livello di ansia varia solitamente del grado di vicinanza dello stimolo fobico.
Comunque l’intensità della paura può non essere sempre correlata in modo prevedibile con lo stimolo fobico.
Talvolta si manifestano attacchi di panico completi in risposta allo stimolo fobico, specialmente quando la persona deve rimanere nella situazione o crede che sia impossibile allontanarsene.
Poiché si manifesta un’ansia anticipatoria se la persona si confronta con la necessità di entrare in contatto con la situazione fobica, tali situazioni vengono di solito evitate.
Gli adulti con questo disturbo riconoscono che la fobia è eccessiva o irragionevole.
Nel caso di un individuo che non lo riconosce, la diagnosi è disturbo delirante.
Inoltre si dovrebbe porre la diagnosi se la paura è ragionevole rispetto al contesto dello stimolo.
Sono molto comuni le paure di oggetti o situazioni circoscritte, specialmente nei bambini, ma in molti casi il grado di menomazione è insufficiente a giustificare la diagnosi.
La fobia può provocare uno stile di vita limitato o un’interferenza con certe occupazioni a seconda del tipo di fobia.
Le fobie si manifestano spesso con altri disturbi d’ansia.
La fobia specifica è solitamente associata con minore disagio.
Nei bambini l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi d’ira con l’irrigidimento o con l’aggrapparsi a qualcuno.
I bambini di solito non riconoscono che le paure sono eccessive e raramente riferiscono disagio per il fatto di avere qualche fobia.
Molte paure non causano problemi così invalidanti da spingere la persona a cercare un aiuto esterno.
Se, per esempio, una persona affetta da una estrema paura dei serpenti vive in un’area metropolitana, molto probabilmente avrà ben pochi contatti diretti con l’oggetto della sua paura, per cui si convincerà di non soffrire di alcun problema serio.
Il discorso sarebbe ben diverso se la persona in questione vivesse in una zona in cui è presente un grande numero di serpenti.
Il tasso di prevalenza di tali disturbi si aggira attorno al 7% negli uomini e al 16% nelle donne.
Il contenuto delle fobie specifiche varia notevolmente da una cultura all’altra; in Cina per esempio, Pa-leng è una fobia del freddo in cui la persona teme che la perdita di calore corporeo possa minacciare la sua esistenza.
Questa paura appare correlata alla filosofia cinese dello yin e dello yang, dove lo yin indica gli aspetti freddi e ventosi della vita, che indeboliscono l’energia.
Pertanto, le convinzioni più diffuse all’interno di una cultura sembrano in grado di incanalare le paure individuali verso particolari situazioni od oggetti.

Fobie Sociali
Si manifestano con una paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o di prestazione in cui l’individuo è esposto a situazioni non familiari o al possibile giudizio degli altri.
Il soggetto teme di agire in maniera umiliante o imbarazzante.
L’esposizione alla situazione sociale temuta provoca quasi invariabilmente ansia, che può assumere la forma di un attacco di Panico legato a, o predisposto da, una situazione.
Le situazioni sociali o di prestazione temute sono evitate o sopportate con intensa ansia o disagio, anche se di solito la persona rioconosce che la paura è irragionevole.
L’evitamento, l’ansia anticipatoria o il disagio nella situazione (o situazioni) temuta interferiscono in modo significativo con la normale routine della persona, con il funzionamento lavorativo, scolastico, con le attività o le relazioni sociali.
Le fobie sociali sono piuttosto comuni, con un tasso di prevalenza nell’arco della vita pari all’11% negli uomini e al 15% nelle donne.
Il loro esordio è spesso localizzato durante l’adolescenza, quando la consapevolezza sociale e l’interazione con gli altri assumono un’importanza molto maggiore nella vita della persona.
Non è raro tuttavia che queste paure si manifestino anche tra i bambini. Come per le fobie specifiche, il contenuto delle fobie sociali varia in base alla cultura di appartenenza. In Giappone, per esempio, ha un ruolo di primo piano la paura di recare offesa agli altri; negli Stati Uniti è più comune la paura di essere valutati negativamente dagli altri.

Disturbo di Panico
Un periodo definito di intensa paura o disagio, durante il quale si possono sviluppare improvvisamente uno o più dei seguenti sintomi:

L’individuo vive nel terrore che da un momento all’altro possano verificarsi altri attacchi, teme di perdere il controllo e di poter impazzire.
Spesso le persone che soffrono di questo disturbo si recano al pronto soccorso, credono di essere in preda ad un attacco cardiaco o di soffrire di altri seri problemi fisici.
Oltre a preoccuparsi per gli attacchi di panico e per le loro implicazioni, molti individui riferiscono anche sentimenti di ansia costanti o intermittenti non focalizzati su alcuna situazione o eventi specifici.
Altri diventano eccessivamente apprensivi per le conseguenze di attività di routine, particolarmente quelle relative alla salute o alla separazione da persone amate.
Negli individui nei quali l’attacco di panico è stato mal diagnosticato, la convinzione di avere una malattia nascosta pericolosa per la vita può condurre ad un’ansia cronica debilitante e ad eccessive visite presso i presidi ospedalieri.
La demoralizzazione è una conseguenza comune, molti individui si scoraggiano, si vergognano e diventano infelici per le difficoltà nel condurre la loro normale routine.
Il disturbo depressivo maggiore si manifesta frequentemente negli individui con disturbo di panico.
In circa un terzo degli individui con entrambi i disturbi la depressione precede l’esordio del disturbo di panico.
Nei due terzi rimanenti la depressione si manifesta contemporaneamente o in seguito all’esordio del disturbo di panico.
Il disturbo di panico è senz’altro uno dei disturbi clinici più frequenti e rappresenta una forma psicopatologica che può arrivare ad essere estremamente invalidante compromettendo la vita di una persona dal punto di vista relazionale, sociale, lavorativo, scolastico ecc.
Va subito detto che un episodio di panico è molto comune nella popolazione generale e non rappresenta di per sé un disturbo, è una reazione spontanea involontaria dell’organismo ad un incremento di tensione psicofisiologica che, in psicologia emotocognitiva, definiamo a-specifica, ovvero senza oggetto.
Quando l’episodio di panico è successivo all’esposizione a specifiche situazioni è molto più probabile che ci si trovi davanti ad una fobia anziché ad un disturbo da attacchi di panico.
Ad esempio sintomi di panico dovuti all’esposizione ad un cane tanto che la persona tende ad evitare la presenza o soltanto la vista di un cane, rappresentano una reazione ad uno stimolo che consideriamo fobico.
In questo caso la diagnosi è di fobia specifica.
Il disturbo da attacchi di panico, invece, non si presenta con l’esposizione ad una situazione temuta, ma improvvisamente, diremo come un fulmine a ciel sereno, senza cioè un oggetto specifico od una chiara situazione in grado di provocarlo.
Può quindi capitare teoricamente ovunque.
Gran parte delle persone che soffre di disturbo da attacchi di panico si trova nella condizione in cui preferisce evitare la maggior parte dei luoghi e delle situazioni in cui ritiene sarebbe difficile trovarsi in caso si sviluppasse una crisi d’ansia.
Così ad esempio le prime cose che generalmente vengono evitate sono i mezzi di trasporto, in particolare metropolitane ed aerei, spostamenti in solitario, luoghi affollati fino ad attività di svago come cinema, teatro, ecc.
Tutti quei luoghi in cui potrebbe essere imbarazzante trovarsi oppure dai quali sarebbe difficile uscire o trovare un aiuto in caso di episodi di panico ed ansia.
Ben presto però l’evitamento delle situazioni a rischio porta allo sviluppo di una condizione reattiva allo stato d’ansia che può presentarsi come un’alterazione dell’umore in senso depressivo.
Ci sono persone che evitano soltanto alcune situazioni, c’è chi si fa accompagnare, chi cerca aiuto e rassicurazione, c’è anche chi evita di uscire dal proprio quartiere o addirittura chi smette del tutto di uscire di casa.
Queste persone però non risolvono l’insorgenza senza un reale successo terapeutico.

Disturbo Ossessivo Compulsivo
Le Ossessioni si definiscono come pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti vissuti in qualche momento del disturbo come intrusivi e inappropriati e che causano ansia e disagio marcato.
Riconoscendo che sono un prodotto della propria mente, la persona cerca di ignorare o sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni.
Le Compulsioni sono definite da comportamenti ripetitivi (come lavarsi le mani) o azioni mentali (come pregare) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta a un'ossessione, o secondo regole che devono essere rigidamente applicate.
I comportamenti o gli atti mentali sono volti a prevenire o a ridurre il disagio oppure a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti, anche se non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.
Il soggetto non può evitare di mettere in atto questi rituali che fanno eprdere molto tempo e arrivano a compromettere le abitudini di vita di una persona.
L’individuo appare rigido, pervicace, manifesta una logica di accumulo (per esempio collezioni), una marcata aggressività verso se stesso e gli altri che interferisce nelle relazioni sociali.
È presente un ritiro dell’affettività.
Generalmente il soggetto mostra un atteggiamento di eccessiva parsimonia che rasenta la tirchieria e di rigida ostinazione.
La sua logica di accumulo gli impedisce di gettare oggetti consumati ormai inutili, anche se privi di valore affettivo.
Tende al perfezionismo e quindi è molto esigente verso se stesso e verso gli altri e nell’esecuzione di compiti.
Difficilmente delega il proprio lavoro ad altri a meno che non lo svolgano esattamente secondo le sue indicazioni.
Pensa di essere disapprovato per vissuti sessuali, aggressivi e di dipendenze.
Questo disturbo Di solito insorge agli inizi dell’età adulta, spesso in seguito a qualche evento stressante, come una gravidanza, il parto, un conflitto familiare o difficoltà sul lavoro.
L’esordio precoce è più comune fra gli uomini ed è associato a compulsioni di controllo; ovvero alla ripetizione di gesti e comportamenti che hanno la funzione di tenere costantemente sotto controllo l’ambiente circostante.
L’esordio tardivo è più frequente fra le donne e si associa a compulsioni di pulizia, come ad esempio lavarsi frequentemente le mani, fare molte docce durante la giornata o pulire in continuazione la casa.
Certe volte il disturbo è preceduto da un episodio depressivo, altre volte il disturbo stesso ad essere seguito da depressione.
Il disturbo ossessivo-compulsivo può risultare associato ad altri disturbi d’ansia, in particolare a quello di panico e alle fobie, nonché a vari disturbi di personalità.
Una conseguenza frequente del disturbo ossessivo-compulsivo è data dagli effetti negativi che questo ha sulle relazioni interpersonali, e soprattutto familiari, di chi ne è afflitto.
Una persona soggiogata dal bisogno irresistibile di lavarsi le mani ogni dieci minuti, o di toccare ogni pomello di porta che incontra, o di contare tutte le mattonelle del pavimento di un bagno, ha una probabilità di suscitare preoccupazione, e persino risentimento, nel coniuge, nei figli, negli amici o nei colleghi di lavoro.
Può accadere che i sentimenti antagonistici provati da queste altre persone e percepiti da chi soffre del disturbo provochino depressione e ansia generalizzata, creando quindi le condizioni per un ulteriore deterioramento delle sue relazioni interpersonali.

Disturbo post-traumatico da stress
Si manifesta quando la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o eventi che hanno comportato la morte o una minaccia per la vita, oppure una grave lesione, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
L’evento traumatico viene persistentemente rivissuto attraverso ricordi spiacevoli, sogni ricorrenti e intrusivi dell’evento che comprendono immagini e percezioni accompagnate da illusioni, allucinazioni e continui flashback legati al trauma.
Tutto questo provoca nella persona un intenso disagio psicologico che può manifestarsi anche con collera improvvisa e intensa irritabilità.
Lo sforzo costante per evitare tutto ciò che potrebbe ricordare il trauma conduce spesso ad un isolamento dagli altri.
Il disturbo acuto da stress è simile a quello post-traumatico,ma ha una durata minore e presenta anche sintomi dissociativi, quali l’amnesia, la fuga, la depersonalizzazione e la derealizzazione.
L’amnesia dissociativa si caratterizza per la presenza di episodi di incapacità di ricordare dati personali importanti, ivi compreso l’episodio traumatico.
La durata del sintomo è in genere breve ed esso scompare all’improvviso.
La fuga dissociativa si manifesta con un allontanamento inaspettato dai luoghi in cui la persona abitualmente risiede, con incapacità di ricordare il proprio passato.
Inoltre può presentarsi confusione circa l’identità personale o l’assunzione di una nuova identità.
La derealizzazione consiste nel provare un forte senso di irrealtà o di distacco dalla realtà, mentre la depersonalizzazione si manifesta con un senso di distacco e di estraneità da se stessi, come se la mente si trovasse al di fuori del proprio corpo.
Queste sensazioni sono dovute ad un tentativo estremo di prendere una distanza emotiva dall’evento traumatico e di rendersi estranei ad esso.

Disturbo d'Ansia Generalizzato
La persona soffre di ansia e preoccpazioni eccessive difficili da controllare.
Coloro che soffrono di questo disturbo sono di solito agitati, irrequieti; in genere sono apprensivi e spesso si tormentano immaginando qualche disgrazia incombente, come la morte.
Molto comuni sono anche l’impazienza, l’irritabilità, gli scoppi d’ira, l’insonnia e la distraibilità, dovuti allo stato di continua tensione che la persona vive.
La prevalenza del disturbo d’ansia generalizzato nell’arco di vita è abbastanza elevato, dato che lo si riscontra nel 5% circa della popolazione generale.
Il disturbo Esordisce tipicamente durante l’adolescenza, Gli eventi di vita stressanti sembrano avere qualche ruolo nella sua insorgenza e la sua frequenza è due volte maggiore fra le donne che fra gli uomini.
Inoltre presenta un alto grado di comorbilità con altri disturbi d’ansia o con disturbi dell’umore.

Terapie per i Disturbi d'Ansia
La maggior parte degli specialisti sono d’accordo che un trattamento che usa una combinazione di tecniche differenti sia la miglior terapia per curare i disturbi d’ansia. Questi disturbi, anche se in alcuni casi possono essere davvero invalidanti, consentono alla persona di conservare un chiaro esame di realtà che rende possibili varie ipotesi di intervento terapeutico.
Si sono rivelate efficaci sia terapie cognitivo-comportamentali centrate sul sintomo (desensibilizzazione sistematica, esposizione dal vivo o immaginativa come in ipnosi, analisi del problema, cambiamento di comportamenti e pensieri disfunzionali etc.) sia terapie sicodinamiche basate su una elaborazione interiore delle cause e dei conflitti che portano alla creazione del sintomo.
Per quanto riguarda le prime, ilprocesso iniziale di cura è soprattutto informativo; molte persone vengono già molto aiutate per il semplice fatto di comprendere esattamente il problema, e che molti altri soffrono dello stesso disturbo.
In molti casi, curare questi disturbi significa semplicemente conoscere più approfonditamente il fenomeno.
Ad esempio, molte persone che soffrono del disturbo da attacchi di panico temono che gli attacchi significhino che stanno “impazzendo” o che il panico possa indurre un attacco di cuore.
La “ristrutturazione cognitiva” (il cambiamento del modo di pensare) aiuta le persone a rimpiazzare questi pensieri con modi più realistici e positivi di vedere gli attacchi.
Con il susseguirsi delle sessioni del trattamento le tecniche cognitive possono aiutare il paziente a identificare i possibili fattori scatenanti degli attacchi.
In un caso specifico il fattore scatenante può essere un pensiero, una situazione o qualcosa di impercettibile come un leggero cambio nel battito cardiaco.
Una volta che il paziente capisce che l’attacco di panico è separato e indipendente dal fattore scatenante, questo fattore comincia a perdere un po’ del suo potere nell’indurre un attacco.
Le tecniche di rilassamento possono aiutare ulteriormente qualcuno a superare un disturbo di ansia.
Queste tecniche includono una rieducazione alla respirazione e la visualizzazione positiva.
Alcuni esperti hanno scoperto che le persone ansiose tendono ad avere una frequenza di respirazione leggermente più alta del normale.
Imparare a rallentare la frequenza respiratoria può aiutare qualcuno a gestire il problema.
Infine un gruppo di supporto con altri che soffrono di disturbi d’ansia può essere molto utile per alcune persone.
E’ stato riscontrato che anche in caso di comunità virtuali, il senso di accoglienza e la condivisione di problematiche comuni può avere alcuni effetti benefici.
Naturalmente questo non può prendere il posto di una terapia, ma può essere un’utile aggiunta.
Ovviamente tutti questi trattamenti devono essere strutturati e prescritti da psichiatri e/o psicologi professionisti iscritti all’albo professionale.

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I Disturbi Sessuali

Un recente studio su coppie regolari fra i 38 ed i 52 anni, in buona salute indica che il 40% degli uomini ed il 65% delle donne lamentano disturbi sessuali individuati soprattutto nell’impotenza e nell’incapacità a raggiungere l’orgasmo per le donne.

Impotenza
Per impotenza o disfunzione erettile si intende l’incapacità ad ottenere un’erezione del pene tale da condurre a termine un rapporto sessuale soddisfacente.
La disfunzione è dovuta ad un cattivo funzionamento dei meccanismi che regolano l’erezione.
Tra le cause organiche principali troviamo la perdita del desiderio, di solito dovuta ad una carenza di ormoni (androgeni) per malattie dell’ipofisi o dei testicoli che accompagnano una diminuzione del liquido seminale, la mancanza di erezione )malattie, fumo di sigaretta, farmaci, abuso di sostanze, interventi chirurgici, traumi del pene etc.).
L’eiaculazione precoce senza cause organiche specifiche si caratterizza per l’emissione di liquido seminale in modo assai rapido a cui segue un’altrettanto veloce detumescenza impedendo così il normale rapporto sessuale.
Le cause psicologiche sembrano essere le più frequenti, in particolare l’ansia e tutti i problemi correlati ad essa.

Assenza di Orgasmo
Per anorgasmia o frigidità (mancanza di orgasmo femminile) si intende una impossibilità di raggiungere l’orgasmo attraverso il rapporto sessuale con un uomo adulto normale. Questa impossibilità può essere:

A questa classificazione del disturbo occorre poi indicare se la mancanza dell’orgasmo sia “primitiva”, cioè non è mai avvenuta fin dai primi rapporti, “secondaria”, ovvero quando accade successivamente, ed infine “transitoria” se nella storia della donna l’impossibilità è già avvenuta in periodi precedenti ma poi in seguito superata.
Fra le cause organiche (più rare rispetto a quelle psicologiche) si annoverano le gravi anemie, l’obesità, il diabete, l’arteriosclerosi, intossicazioni da alcool o da droghe, malattie endocrine, malformazioni dell’apparato genitale, infiammazioni locali come la vaginite da candida, da tricomonas.

Terapie
Negli approcci terapeutici si cerca di lavorare sulle quattro fasi della risposta sessuale: desiderio, eccitazione, orgasmo e risoluzione. sono importanti anche la pulsione: ha origini biologiche e può essere condizionata da fattori fisici, come il livello ormonale, malattie, farmaci e la motivazione che è legata al bisogno di relazione.
È stato notato che i problemi legati alla motivazione sono la maggior causa delle disfunzioni sessuali all’interno di una coppia.
Ad esempio, uno dei partner può non desiderare avere rapporti con il compagno perché ha un’altra relazione, perché è molto arrabbiato con l’altro, o perché vede l’altro in modo distorto.
A livello terapeutico, le terapie sessuali comportamentali brevi danno buoni risultati.
Il terapeuta individua quali delle fasi della risposta sessuale è problematica e prescrive esercizi mirati che la coppia si impegna a svolgere a casa.
Durante le sedute in studio i pazienti analizzano l’esecuzione di tali esercizi e le eventuali difficoltà incontrate.
Le terapie brevi funzionano se il problema è circoscritto alla sessualità (ad esempio, ansia da prestazione, insicurezze) e ciascun partner è soddisfatto della relazione.
Altre volte, i partners possono avere disturbi di personalità, problemi nevrotici e la disfunzione sessuale è solo un sintomo della loro sofferenza.
In questi casi, le terapie sessuali brevi non danno buoni risultati se prima non si risolve il problema di fondo.
Ad esempio, pazienti con rilevanti problemi d’ansia e attacchi di panico, non possono affrontare serenamente la sessualità se prima non curano l’ansia attraverso appositi farmaci e tecniche di rilassamento.
Tali persone in continuo stato di agitazione non riescono infatti ad eseguire le tecniche prescritte perché esse incrementano ancora di più la loro ansia.
In alcuni casi, soprattutto nell’anorgasmia femminile, i problemi sessuali possono essere dovuti a cause psicologiche che le donne si portano dietro fin dall’infanzia.
In queste situazioni sono molto efficaci anche terapie psicodinamiche che si propongono di offrire ai pazienti una elaborazione interiore e approfondita dei loro vissuti.

I Disturbi Sessuali
Con questo termine si intendono i disturbi classificati nel manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, considerati patologici solo quando comportano disagio e difficoltà nelle relazioni interpersonali.

Parafilie
Le parafilie sono caratterizzate da fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente, che si manifestano per un periodo di almeno 6 mesi, e che in generale riguardano oggetti inanimati, la sofferenza o l’umiliazione di se stessi o del partner (sadismo, masochismo sessuale) o bambini(pedofilia) o altre persone non consenzienti (esibizionismo, feticismo, voyerismo).
Per alcuni soggetti, fantasie o stimoli parafilici sono indispensabili per l’eccitazione sessuale e sono sempre inclusi nell’attività sessuale.
In altri casi, le preferenze parafiliche si manifestano solo episodicamente (per es., durante periodi di stress), mentre altre volte il soggetto riesce a funzionare sessualmente senza fantasie o stimoli parafilici.
Abusi sessuali contro i bambini costituiscono una parte significativa di tutti i crimini sessuali riportati,e i soggetti con Esibizionismo, Pedofilia, e Voyeurismo costituiscono la maggior parte dei criminali sessuali arrestati.
In alcune situazioni, la messa in atto delle fantasie parafiliche può comportare lesioni autoprovocate (come nel Masochismo Sessuale).
Le relazioni sociali e sessuali possono essere danneggiate se altri trovano il comportamento sessuale vergognoso o ripugnante o se il partner sessuale del soggetto rifiuta di condividere le preferenze sessuali inusuali.
In alcuni casi, il comportamento inusuale (per es., atti esibizionistici o la collezione di oggetti feticistici) può diventare l’attività sessuale principale nella vita dell’individuo.
Questi soggetti raramente giungono all’osservazione degli operatori psichiatrici spontaneamente, e di solito lo fanno solo quando il loro comportamento li ha messi in conflitto con i partners sessuali o con la società.

Disturbo da Avversione Sessuale
Caratterizzato da una ricorrente estrema avversione ed evitamento di tutti o quasi tutti i contatti sessuali genitali con un partner sessuale. Questa sofferenza comporta un grande disagio psicologico e difficoltà nelle relazioni intepersonali.

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Insonnia

È sicuramente il disturbo del sonno più diffuso.
L’insonnia primaria si manifesta con un periodo di almeno un mese, caratterizzato da una difficoltà ad iniziare o a mantenere il sonno che può comportare durante il giorno una forte affaticabilità.
Chi è affetto da insonnia, ha un sonno generalmente non ristoratore e spesso a questi sintomi se ne associano altri come affaticamento, sindrome da stanchezza cronica, difficoltà di concentrazione, compromissione del funzionamento lavorativo, scarso rendimento scolastico, agitazione, sintomi di natura psicosomatica, ansiosa, depressivi, misti ansioso-depressivi.
Il quadro clinico varia ovviamente da individuo ad individuo e l’insonnia può presentarsi con forme di lieve, moderata o grave entità.
In ogni caso l’insonnia indipendentemente dal livello di gravità, causa sensazioni di disagio alla persona ad uno o più dei seguenti livelli: personale, familiare, relazionale, lavorativo, scolastico.
Ai disturbi del sonno, come detto, possono associarsi altri disturbi e sintomatologie specifiche che spesso coinvolgono il sistema muscolare (torpori, rigidità, tensione, contratture) ecc.

Terapie
Chi soffre d’insonnia manifesta una tendenza circolare, per la quale ogni tentativo di dormire produce in realtà l’effetto opposto.
Molte persone che soffrono di insonnia primaria, tendono ad andare a letto più tardi o protraggono per lungo tempo altre attività al fine di stancarsi.
Altri evitano di andare nel letto per il fatto di aver notato che riescono a dormire meglio su un divano.
Questi soggetti Spesso riferiscono di riuscire ad addormentarsi sul divano, cosa che però non avviene quando si recano nel proprio letto.
In altri casi la persona si sente molto stanca alla fine della giornata lavorativa, ma quando rientra a casa e tenta di andare a dormire non ci riesce e rimane sostanzialmente con gli occhi sbarrati, agitandosi, girandosi e cercando a tutti i costi di prendere sonno.
Altre persone riescono dopo un po’ ad addormentarsi ma si svegliano nel cuore della notte o prima dell’alba senza riuscire a riprendere sonno.
Ci sono moltissime forme che può assumere l’insonnia e più in generale un disturbo del sonno.
Ogni forma ha comunque in comune il tentativo della persona di addormentarsi senza successo ed una tendenza all’evitamento fobico del disagio.
Una buona valutazione prima di iniziare qualsiasi tipo di terapia permette di capire come deve essere articolato l’intervento.
Molte volte la persona che soffre di insonnia necessita di un intervento che mira a modificare solamente alcune abitudini di vita (a letto e sveglia alla stessa ora; evitare il riposino pomeridiano, attività fisica, no alcol, fumo e caffeina,) e alcuni fattori ambientali come ad esempio (rumore e temperatura della stanza, comodità del letto).
Altre volte la persona che soffre di insonnia ha bisogno di un intervento un po’ più articolato.
In questo caso la terapia cognitivo-comportamentale lavora anche sui pensieri ansiosi e sulle ruminazioni mentali che non permettono alla mente di rilassarsi e insegna specifiche tecniche di rilassamento fisico e mentale che aiutano a ristabilire un corretto sonno.
Negli ultimi 30 anni sono state messe a punto strategie cognitivo-comportamentali che permettono di ridurre il ricorso ai sonniferi, che devono essere usati solo come soluzione temporanea per curare insonnie gravi e debilitanti e sempre sotto stretto controllo medico.
Circa 70, 80 persone su 100 che seguono un programma di trattamento cognitivo-comportamentale per l’insonnia migliora la propria qualità e quantità di sonno e riesce a fare a meno dei sonniferi.
Per questo la comunità scientifica considera la terapia cognitivo-comportamentale, il trattamento non farmacologico più indicato per l’insonnia cosiddetta primaria, cioè non dovuta a malattie fisiche o a disturbi psicologici come la depressione.

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